ecco il link all'articolo pubblicato da Europa Quotidiano
Di fronte al dramma di tante persone che si sentono ferite, offese, davvero c’è chi pensa che la politica non debba dire una parola forte e chiara?
La legge contro l’omofobia è una conquista di civiltà e noi ci batteremo con convinzione perché sia finalmente approvata dal parlamento italiano.
Il lavoro importante ed equilibrato fatto in commissione ampliando la portata della legge Mancino ha prodotto un testo che seppure potrà e dovrà esser migliorato in aula (penso per esempio alla utilità di ribadire la distinzione tra pluralismo delle opinioni etiche, che va sempre rispettato ed i comportamenti violenti, offensivi, discriminatori che vanno invece puniti) rappresenta da un lato una ottima sintesi di sensibilità diverse e dall’altro la risposta a chi vorrebbe cancellare non solo la legge ma anche il dibattito sull’omofobia.
Sorprendono francamente alcune osservazioni che si sono lette e ascoltate a partire dalla tentata equiparazione di questo punto, legato alla tutela dei diritti della persona, ai temi eticamente sensibili. Così come appare insostenibile la tesi che una legge contro l’omofobia rappresenti una minaccia per la libertà di espressione; chi ragiona così della libertà di espressione considera ad esempio, immagino, gli insulti di Calderoli al ministro Kienge una legittima espressione di dissenso politico.
Ho letto con meraviglia le parole di Sacconi («testo irricevibile per chi crede nel diritto naturale») che non solo confondono totalmente il piano di questa legge con il piano delle convinzioni di coscienza ma portano anche, con tutta evidenza, ad una concezione di stato etico, fortunatamente estranea allo spirito ed al testo della nostra Carta costituzionale. E confermano una visione delle questioni etiche (estranee, ripeto, alla legge in questione) per me inaccettabile, un uso cioè dei temi etici come una clava, un approccio imperativo, sostanzialmente intollerante, teso ad imporre dogmaticamente a tutti certezze e scelte che sono solo di alcuni.
Non meraviglia più, invece, Giovanardi («una legge illiberale di ispirazione comunista») che doveva essere assente o distratto quando nei corsi di formazione della Dc insegnavano che difendere sempre, nella propria azione politica, il primato della persona, della sua dignità e della sua libertà è la base su cui si costruisce una democrazia fondata sul pluralismo, sul rispetto, sul valore dell’altro.
Per fortuna mi sembra di poter dire che queste sono eccezioni e che il confronto fatto in commissione porta il segno preminente della tolleranza e della capacità di trovare una sintesi condivisa di apporti e sensibilità legittimamente diverse.
In fondo, io credo, questa legge è l’applicazione coerente di un principio condiviso da tutte le culture che hanno dato vita alla repubblica: l’idea cioè che la persona, ogni persona ha diritto di essere artefice della propria vita, libera e rispettata nelle proprie scelte e che è compito delle istituzioni (e dunque della politica) rimuovere gli ostacoli che limitando la libertà di alcuni o la loro dignità, rendono meno libera e meno civile la vita di tutti.
Ed infine, ma non per ultima, una considerazione prima di tutto umana: di fronte al dramma di ragazzi, di donne, uomini, di persone che si sentono ferite, offese, colpite, davvero c’è chi pensa che le istituzioni, la politica non debbano dire una parola forte e chiara, non debbano schierarsi? E sono gli stessi che proclamano ad ogni ora la necessità di “ridurre la distanza” tra politica e cittadini?
Abbiamo tenacemente voluto questa legge. Anche altre, sui diritti di chi è più debole o più esposto alla solitudine ed all’ingiustizia, ci vedranno ancora protagonisti. È una grande occasione e spero davvero che la camera l’approverà con il larghissimo consenso che merita.